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I fiumi | Giuseppe Ungaretti (con parafrasi)
I fiumi | Giuseppe Ungaretti (con parafrasi)
Mi tengo a quest’albero mutilato
Abbandonato in questa dolina
Che ha il languore
Di un circo
Prima o dopo lo spettacolo
E guardo
Il passaggio quieto
Delle nuvole sulla luna
Stamani mi sono disteso
In un’urna d’acqua
E come una reliquia
Ho riposato
L’Isonzo scorrendo
Mi levigava
Come un suo sasso
Ho tirato su
Le mie quattro ossa
E me ne sono andato
Come un acrobata
Sull’acqua
Mi sono accoccolato
Vicino ai miei panni
Sudici di guerra
E come un beduino
Mi sono chinato a ricevere
Il sole
Questo è l’Isonzo
E qui meglio
Mi sono riconosciuto
Una docile fibra
Dell’universo
Il mio supplizio
È quando
Non mi credo
In armonia
Ma quelle occulte
Mani
Che m’intridono
Mi regalano
La rara
Felicità
Ho ripassato
Le epoche
Della mia vita
Questi sono
I miei fiumi
Questo è il Serchio
Al quale hanno attinto
Duemil’anni forse
Di gente mia campagnola
E mio padre e mia madre.
Questo è il Nilo
Che mi ha visto
Nascere e crescere
E ardere d’inconsapevolezza
Nelle distese pianure
Questa è la Senna
E in quel suo torbido
Mi sono rimescolato
E mi sono conosciuto
Questi sono i miei fiumi
Contati nell’Isonzo
Questa è la mia nostalgia
Che in ognuno
Mi traspare
Ora ch’è notte
Che la mia vita mi pare
Una corolla
Di tenebre
___________________________________
Parafrasi
Un uomo immerso in un fiume: così si presenta Ungaretti in questa sua celebre poesia. Il bagno nell'Isonzo riporta il poeta a tutti i fiumi della sua vita, dal Serchio, che simboleggia Lucca, città d'origine dei genitori, al Nilo, che rimanda alla città natale, Alessandria d'Egitto, per finire con la Senna, fiume parigino sulle rive del quale trascorse parte della sa giovinezza.
Eccolo dunque attaccato ad un albero mutilato. Si discute spesso se l'aggettivo abbandonato sia rivolto al poeta o al tronco: preferisco la prima ipotesi, è il poeta che si abbandona al ricordo, alla corrente dei pensieri che dal fiume arriva fin su nel cielo, con quelle nuvole che sfiorano la luna. La metafora del circo è di una eccezionale potenza iconografica e prosegue fino al verso in cui si parla di un acrobata sull'acqua. Vale la pena sottolineare anche il valore della parola circo: è l'acqua che circola, così come il tempo che ritorna per fondere il presente ed il passato in un urna d'acqua in cui un vivo sta come una reliquia.
Nel contempo, in questi primi versi, emerge l'altro tema della poesia: l'armonia con la natura. Ed ecco il fiume che sfiora il corpo del poeta quasi a levigarlo come se fosse un sasso, ed ecco il riconoscersi come fragile fibra dell'universo. Poi, come uno sparo, nei versi centrali, esattamente a metà del componimento, arriva la confessione, intima e sofferta: il mio supplizio è quando non mi credo in armonia. In fondo il dolore e la tristezza sono proprio sentimenti legati alla disarmonia: soffre chi si sente tagliato fuori, chi non riesce a coniugare volontà e potere, aspirazioni e realtà. E' un dolore privato, che lascia soli, testimoniato dall'aggettivo mio, riferito al supplizio.
In questa circostanza il poeta però non è solo: il fiume lo stringe in un abbraccio e gli regala la rara felicità, l'armonia con la natura. Proprio dentro questo avviluppamento armonico, Ungaretti ripercorre tutto lo scorrere dei sui anni, in un flusso in cui il passato diviene presente: e l'Isonzo diventa tutti i fiumi, quelli di paese, quelli d'Egitto, quelli di Parigi, tutti i fiumi sono questo fiume.
La poesia si chiude con il sentimento della nostalgia e con l'immagine di una corolla di tenebre: dopo tanta acqua, un fiore nero, oscuro ma vitale, qualcosa di vago e indefinito che non si può dire e nemmeno contare, a differenza dei fiumi contati nell'Isonzo. Forse quella corolla chiusa è tenebrosa è solo un bel fiore, un futuro di petali che deve ancora del tutto sbocciare.
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