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Rivoluzione Francese
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Cause
Prima del 1789, la Francia era una monarchia assoluta legata alla tradizione medioevale. Il Re, fiancheggiato dal clero e dalla ricca nobiltà, deteneva i tre poteri. Lo stato era incapace di adeguarsi ai mutamenti in atto e opprimeva le masse, ormai vessate da sgravi fiscali. L'invio di truppe e rifornimenti per sostenere gli Americani in lotta contro gli Inglesi aggravò la pesante situazione economica francese già in crisi perché vincolata all'agricoltura. La tassazione nei confronti dei contadini aveva raggiunto il limite di sopportazione, già minato dagli esosi oneri signorili ricollegati ad un antico sistema feudale. Il peggioramento inesorabile della condizione contadina fu anche dovuto alla crisi che sconvolse la produzione cerealicola del 1787 a causa di disastri meteorologici. I tenui tentativi del sovrano Luigi XVI di riformare il sistema fiscale, altamente squilibrato, vennero contrastati dal clero e dai nobili in quanto avrebbero dovuto rinunciare a buona parte delle loro ricchezze e dei loro privilegi. Le proposte del ministro delle finanze Necker puntavano infatti a limitare la classe dirigente e ciò gli costò la carica. Egli aveva tentato di attuare un prelievo fiscale più equo coinvolgendo le classi ricche e una riduzione degli sprechi attraverso tagli delle spese. Inoltre, le idee illuministiche si erano ormai diffuse in tutta Europa proponendo un atteggiamento fortemente antitradizionalista, nutrito dalla convinzione che il passato, in particolare il Medioevo, coincidesse con l'età dell'ingiustizia, del sopruso, della superstizione e dell'ignoranza. Opponendosi a sistemi antiquati che limitassero la libertà del singolo individuo in funzione di un ideale cosmopolita. Se dal punto di vista sociale, la Francia era in una profonda crisi, anche il sistema politico non respirava aria salutare. Non solo i contadini, ma anche la media borghesia aveva degli obiettivi ben definiti ed uno di questi era l'entrata nelle decisioni politiche. Obiettivi che portarono alla convocazione degli Stati Generali, sintomo di un esteso scontro che durerà per 10 anni. Il Terzo Stato, non avendo ottenuto né il voto per partecipante né riunioni congiunte dei tre ordini, si trovò fortemente sottovalutato e limitato nel proprio operato. Rimase il voto per ordine che, ovviamente, era sinonimo di mancanza di libertà poiché il 98% della popolazione francese aveva un solo voto contro il rimanente 2% tra clero e nobiltà. La volontà di una partecipazione politica attiva della borghesia commerciale veniva quindi stroncata sul nascere.
Scrive l'abate Sieyès al riguardo: "Che cos'è dunque il terzo stato? Tutto, ma un tutto impedito e oppresso. Che sarebbe senza l'ordine privilegiato? Tutto, ma un tutto libero e fiorente." Il passo seguente alla convocazione degli Stati Generali fu la formazione di un Assemblea Nazionale svincolata dallo stato illiberale. Come già detto, l'inasprimento delle relazioni tra "rivoluzionari" ed "oppositori" provoca reazioni violente, e un chiaro esempio lo troviamo con la presa della Bastiglia il 14 luglio 1789. La formazione di un governo tradizionalista da parte del sovrano e la concentrazione di truppe attorno a Parigi, scatenò la reazione della borghesia che formò una milizia armata. Quasi spontaneamente si generò una rivolta che Luigi XVI sottovalutò senza prendere misure di contenimento.
Obiettivi
La rivoluzione francese è stata guidata dalla media borghesia che sfruttò la forza delle masse contadine, prive di grandi obiettivi rivoluzionari, per raggiungere i propri scopi. Il principale obiettivo della borghesia era l'ammodernamento attraverso il passaggio dalla monarchia alla repubblica. Un passaggio verso uno stato formato da classi determinate in base al patrimonio e non in base alla nascita. Cioè uno stato fondato sulla mobilità e capace di evolvere, non fossilizzato su un'immobilità medioevale. Tali idee sono riassumibili in una finalità: la libertà. Fin dall'Assemblea Nazionale, poi costituente con l'aggiunta di membri aristocratici, venne stilata la "Dichiarazione dei diritti dell'uomo e del cittadino" che fissò gli ideali rivoluzionari nel motto: "Libertè, Egalitè, Fraternitè". Questo implicò un passaggio verso i principi democratici di sovranità popolare e suddivisione dei poteri poi diventati effettivi nella Costituzione del 1791. Per raggiungere ciò, l'Assemblea abolì il regime feudale eliminando le corvèes e le decime, in un processo atto a colpire l'aristocrazia ed il clero.
Gli "assegnati" sono stati una soluzione al problema economico perché, oltre a limitare direttamente la ricchezza della Chiesa, hanno portato altro denaro nelle bisognose casse dello stato. Perciò, come scopo troviamo una lotta, spinta anche da uno spirito illuminista basato sulla razionalità, contro lo strapotere della Chiesa francese. E infatti la costituzione civile del clero del 1790 riformava l'organizzazione ecclesiastica sul modello di quella amministrativa. In più, sempre per migliorare le condizioni economiche, venne deliberata l'abolizione delle barriere doganali interne; la giustizia fu organizzata in modo più uniforme e ordinato. Un fine conseguente alla rivoluzione fu la guerra contro l'Austria voluta dai giacobini. Con tale scontro armato, essi sperarono di compattare le diverse fratture interne verso un unico avversario e quindi sistemare i contrasti nascenti. La genesi di una monarchia costituzionale sembrò porre termine alla rivoluzione, ma non fu così perché sia il sovrano insoddisfatto dei poteri limitati, sia i radicali giacobini desiderosi di partecipare attivamente alla politica minarono la precaria stabilità ottenuta dalla borghesia. Inoltre è chiara la decisione, degli anni seguenti, di cancellare tutto ciò che fosse legato al potere monarchico e di iniziare un processo di "scristianizzazione"; ne sono un esempio l'uccisione di Luigi XVI in pubblica piazza e la creazione di un nuovo calendario. Il secondo è un atto simbolico che taglia ogni legame con il passato. Le proposte radicali vennero sostenute da Robespierre, Marat e Danton. La rivoluzione ha anche come obiettivo la rivoluzione stessa. Nella costituzione del 1793, verrà fissato uno dei principi che la legittimerà pienamente. L'Articolo 35 recita: "Quando il governo viola i diritti del popolo, l'insurrezione è, per il popolo e per ogni frazione del popolo, il più sacro e il più imprescindibile dovere". Questo articolo rappresenta la volontà dei francesi di ribellarsi a ogni forma di oppressione e quindi giustificare gli sconvolgimenti rivoluzionari.
Opposizioni
Le forze di opposizione, in Francia, sono rappresentate dal monarca, dall'aristocrazia, dalla Chiesa, da contadini insoddisfatti e da monarchici. Fin dalla convocazione degli stati generali, sia il Sovrano che i suoi diretti sostenitori, continuarono a limitare le nascenti necessità del Terzo Stato non permettendogli di guadagnare potere. L'insoddisfazione di Luigi XVI per aver perso il potere assoluto lo portò ad atti controrivoluzionari nonostante fosse stata stabilita una monarchia costituzionale. Infatti, possedendo ancora il diritto di veto sulle decisioni dell'Assemblea Nazionale costituente, impedì tangibilmente i progressi borghesi. Il fine primario del Re era quindi la ricostituzione di una monarchia assoluta, anche con l'aiuto degli altri stati europei. Si ricordi che tali stati non legittimarono i nuovi governi rivoluzionari. Al fianco di Luigi XVI troviamo un gruppo di aristocratici fuggiti dalla Francia che cercarono di convincere le monarchie europee a dichiarare guerra alla madre patria. Per quanto riguarda la Chiesa, sempre si è opposta veementemente ai mutamenti improvvisi, violenti e pericolosi per difendere la propria egemonia. Dalla costituzione civile del clero, molti membri si rifiutarono di prestare giuramento alle istituzioni francesi e per questo vennero definiti "refrattari". Tutti i procedimenti dell'Assemblea verso la Chiesa, tuttavia, portarono più danni che miglioramenti. La somma di questa spinta controrivoluzionaria al mancato soddisfacimento dei bisogni della maggior parte dei contadini che non vedevano migliorare la propria condizione economica, anzi peggiorata dall'istituzione di una leva obbligatoria, portò gli stessi ad agire contro la rivoluzione. In Vandea, soprattutto, si notarono atti di ribellione poi soppressi nel sangue dalla dittatura di Robespierre. Era inevitabile che i contadini, privati della forza lavoro più giovane e della religione a cui erano secolarmente legati, non approvassero i successivi sviluppi della rivoluzione. Molti tra i francesi guidarono azioni controrivoluzionarie proponendosi come difensori della fede cattolica. Inoltre, ricordiamo i controrivoluzionari "termidoriani" che uccisero Robespierre (1794) ponendo fine alla "dittatura democratica" dei giacobini, agli anni del "Terrore"; riportando in funzione un governo borghese moderato.
Cambiamenti Effettivi
Il risultato immediato della rivoluzione fu l'abolizione della monarchia assoluta e dei privilegi feudali: la servitù, i tributi e le decime furono soppressi; i grandi possedimenti vennero frazionati e si introdusse un principio equo di tassazione. Con la redistribuzione delle ricchezze e dei terreni, la Francia divenne il paese europeo con il maggior numero di piccoli proprietari terrieri indipendenti. Tuttavia, la conclusione degli eventi fu un colpo di stato (18 brumaio 1799) ideato da Napoleone. Quindi, se l'obiettivo principale è stato l'abbattimento della monarchia per instaurare una repubblica, esso non può definirsi pienamente raggiunto perché, nonostante i travagli rivoluzionari, la Francia diventò nel 1804 un Impero con a capo Napoleone Bonaparte. Molti sono stati i cambiamenti ma, oggettivamente, la rivoluzione si è conclusa bruscamente con un ritorno al punto di partenza. Accadrà lo stesso in Russia un secolo dopo. Invece a livello sociale ed economico, furono aboliti l'incarceramento per debiti e il diritto di primogenitura nell'eredità terriera. Napoleone portò a compimento alcune riforme avviate durante la rivoluzione:
istituì la Banca di Francia, che era banca nazionale semi-indipendente e agente governativo in materia di valuta, prestiti e depositi pubblici; instaurò l'attuale sistema scolastico, centralizzato e laico; riorganizzò l'università e fondò l'Institut de France; stabilì l'assegnazione delle cattedre in base a esami aperti a tutti, senza distinzioni di nascita o reddito. La riforma delle leggi provinciali e locali fu incorporata nel Codice napoleonico (1804), che rispecchiava molti principi introdotti dalla rivoluzione: uguaglianza dei cittadini davanti alla legge; regolarità processuale e il diritto alla difesa. In tema di religione, i principi di libertà di culto e di stampa, enunciati nella Dichiarazione dei diritti dell'uomo, portarono a una maggiore libertà di coscienza e al godimento dei diritti civili per protestanti ed ebrei. Furono inoltre gettate le basi per la separazione tra Stato e Chiesa. Gli esiti teorici della Rivoluzione francese si condensano nei principi di "Liberté, Egalité, Fraternité", che diventarono il vessillo per le riforme liberali in Francia e in Europa nel XIX secolo e sono tuttora i fondamenti della democrazia. Ritornando al concetto di Rivoluzione, dopo i 10 anni di duri scontri ed esecuzioni sommarie, possiamo dire di aver ricevuto una lezione sul suo significato e possibile sviluppo. Il periodo più tragico e, purtroppo, più attuale è stato il "Terrore" giacobino. Molte sono state le opinioni riguardo a questa parentesi. La Arendt, analizzando questo periodo, ha osservato che in Francia nessuna Costituzione era durata a lungo, la volontà delle Assemblee non era sufficientemente autorevole ed il monarca era stato decapitato. Secondo la sua opinione il problema di Robespierre e di molti rivoluzionari era di come assicurare che le conquiste della rivoluzione non andassero perse. La proclamazione della festa dell'Ente Assoluto sarebbe come la prova di questa necessità di un assoluto a cui ancorare la rivoluzione. Rifiutando la teoria della divisione dei poteri, e non riuscendo a dare nessuna autorità alle Costituzioni che furono promulgate, la rivoluzione francese si condannò ad una lunga navigazione senza riuscire a scorgere qualche approdo sicuro. Il terrore risulta allora come la conseguenza di un potere che in nome di obbiettivi elevati non riconosce limite legittimo al proprio operato. Perché si possano giustificare atti di grande violenza sono necessarie condizioni gravissime. Torniamo allora al paradosso che da buoni propositi si possa giungere ad azioni delittuose. In nome di questa deviazione dai progetti originali, corrotti dal terrore giacobino, l'opinione pubblica europea di letterati e intellettuali venne radicalmente modificata. Alfieri, Foscolo, Parini, Carducci sentirono molto profondamente gli animi rivoluzionari libertari ed egualitari. Ma vissero il terrore e le campagne napoleoniche in Italia come un "tradimento" verso quei valori che mossero la Francia pochi anni prima.
(Testo Offerto da historica.altervista.org)
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